giovedì 29 novembre 2007

100 metri piani. ( Racconto breve)

Conta fino a dieci. 1,2,3…10.
Ci vuole poco vero? Solo un attimo.
Questi sono i 100 metri. Un attimo, un lampo, un flash.
Non c’è tempo per pensare, per tattiche; non c’è il tempo per rimediare un errore. Non c’è il tempo per nulla.
Devi correre, correre e basta.
Questa è la mia gara: la gara per eccellenza.
Non lunghe corse, tattiche, sudore, fatica e abbrutimento.
Come cavalli.
No.
Solo 100 metri.
Un lampo dove ti giochi tutto.
Non ci sono avversari, non li vedi, non ne hai il tempo.
Ci sei tu, contro te stesso, al limite, allo spasimo; con il cuore che scoppia e il respiro che ti brucia la gola. Tu e la linea del traguardo. Da raggiungere, da ghermire, come il ghepardo.
I 100 metri non sono una corsa; sono la corsa.
Devi avere tutto per vincere.
Gambe forti e muscoli potenti; fibre rosse; capaci di bruciare ossigeno , in un attimo, come un reattore. Un torace possente , con due polmoni enormi per aspirare oceani d’ossigeno da bruciare. Un grande cuore capace di pompare violentemente sangue rosso ai motori. Due braccia forti, per remigare il vento e fendere l’aria. E un cervello. Capace di pensare, programmare e controllare questa esplosione nucleare.
Se hai tutto questo, se ami la sfida ed il rischio, sei pronto per i 100 metri.
Prima di tutto concentrazione assoluta.
Niente ti deve distrarre prima della gara.
Nel cervello devi visualizzare, a singoli fotogrammi, la tua gara.
La partenza, ogni singolo passo, i respiri e l’arrivo, spingendo avanti la testa per guadagnare millimetri.
Posizionare i blocchi. Sono i blocchi che ti permettono di raggomitolarti su te stesso, contratto come una molla pronta a scattare.
Poi, finalmente, il momento della verità; la gara.
Non guardi gli avversari, non esistono. Ci sei solo tu, la pista e lo striscione d’arrivo, là in fondo. Ti togli la tuta ripetendo scaramanticamente i gesti che hai fatto l’ultima volta che hai vinto. Prendi posizione e ti inginocchi per posizionare perfettamente i piedi sui blocchi; distendi un attimo le braccia, per decontrarle e poi ti raccogli tutto su te stesso, tutto appoggiato alle mani. Il pollice e l’indice a sfiorare la linea.
E attendi lo sparo.
E scatti, simultaneamente allo sparo; immaginandolo più che sentendolo. Scatti, forzando sugli appoggi ed annaspi, quasi cadendo nello sforzo di stare il più possibile inclinato in avanti. Ora le tue ginocchia sono stantuffi e più stai inclinato più sfrutti la spinta. Stantuffi e non respiri, non ancora. Continui a spingere mentre un velo rosso ti cala sugli occhi; spingi e senti che il tuo corpo tende a raddrizzarsi; il petto a sporgere. Sai che stai rallentando e ora devi respirare. Sorsate d’aria, a bocca aperta, che ti bruciano la gola e polmoni. Le braccia si allargano; il movimento ora è scomposto, disperato. Sei quasi arrivato. Un altro sforzo. Spingi avanti la testa, costringi il tuo corpo a tuffarsi per guadagnare pochi millimetri sul nastro d’arrivo.
Io distrofico.
Condannato ad una sedia a rotelle.
Genio della fisica.
Ho scoperto le forze che regolano l’universo; i misteri del creato.
Ma non sono mai stato in grado di correre, di camminare. Una delle migliori menti del mondo ed un corpo inutile, ripugnante. Chi ha scelto per me?
( Il racconto è stato ispirato dalla figura del fisico inglese S. Hawking e dai tanti disabili che invece hanno trovato nello sport una nuova dimensione di vita)

3 commenti:

LauraAndrea ha detto...

Bellissime immagini. Laura

Andrew ha detto...

E finalmente abbiamo scritto...................

Simo ha detto...

leggendo questo paragrafo si riesce a percepire la tensione che c'è sui blocchi di partenza prima che inizi la gara. Bello